Il Secolo 21

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Qualcosa si muove nel PD di Genova? Aprite questa porta.

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Via XX settembre, il futuro, il bancone e il presente.

Strano ma vero, qualcosa è successo, sembra qualcosa abbia attecchito. Il PD ha organizzato un evento sul precariato: Aprite questa porta. A Torino, Bergamo, Milano, Roma e Padova.

A Genova, i più si guardavano perplessi, fra la fretta tutta  pendolare per tornare a casa e uno sguardo al banco dell’ortofrutta allestito in Via XX settembre sotto l’arco monumentale. Poi, ad un’occhiata un poco più cauta, sopra il banco della frutta lo stemma del partito che si vorrebbe riformista, che si dice riformista e che riformista non è. Un’idea partita dal Lab8 e da Oltre: giovani quadri nel partito che non vuole i giovani.

Sulla frutta esposta i saldi del mercato per i precari, lavoratori autonomi e donne lavoratrici. Una soluzione che aiuti a sostenere la flessibilità per quella che è: un nuovo paradigma del mondo del lavoro:

Reddito sociale e innalzamento dei contributi previdenziali a prescindere dai periodi d’inattività. Redistribuzione della ricchezza in tre parole. La strada inevitabilmente passa per questa direzione.

Fra tutti gli stratagemmi proposti dai questi dirigenti, Luca Romeo, uno degli organizzatori, prova a spiegarne qualcuno: “Innanzitutto l’idea di un mercato del lavoro che estenda i diritti minimi, pensione e tutele anche al mondo del precariato e delle partite IVA e che trasformi gli strumenti di sostegno al lavoro, come la cassintegrazione o gli assegni familiari, in strumenti più adatti all’Italia del 2010. La flessibilità non può essere solo un vantaggio per le aziende ma anche una possibilità per il lavoratore tutelato nei suoi periodi di inattività grazie alla continuità contributiva. Uscire da questo doppio mondo del lavoro tutelato e del lavoro precario è indispensabile per disinnescare la bomba di una società divisa tra generazioni, tra protetti e non protetti.”

Romeo prosegue: “Le proposte del PD sul mercato del lavoro sono molte e articolate, se dovessi scegliere quelle chiave io mi concentrerei su reddito minimo, universalizzazione dell’indennità di disoccupazione, integrazione contributiva e contributo di 3000 euro annuo per ogni figlio fino alla maggiore età.

Il reddito minimo va a unificare gli strumenti delle detrazioni e altre forme di incentivazione permettendo di avere uno strumento più facile da gestire per lo stato e per i cittadini.

Con il sostegno al reddito si propone quel livello base di sussistenza necessario a mantenere coesione sociale. Non è un caso che in tutta Europa esistano forme di reddito minimo tranne che in due paesi, Italia e Grecia e che proprio in Europa ci siano forti spinte per creare un reddito minimo europeo.

Il secondo punto è l’estensione di forme di indennità di disoccupazione anche al di fuori della tradizionale cassa integrazione perchè il precariato non ha alcun paracadute sociale rispetto alle forme tradizionale di lavoro. In questo modo vengono scaricati su questa parte, sempre più consistente nel mondo del lavoro, gli oneri della crisi economica. Dare questa possibilità anche alle partite IVA, ormai sempre più precari di diversa natura, è anche un sostegno alla libera professione. La flessibilità non è un male di per se, anche se non può essere applicata tutta la vita a tutti i tipi di lavori. La mela più avvelenata della precarietà è l’impossibiltà di creare una pensione degna di questo nome alla fine della carriera lavorativa, lo stato dovrebbe quindi integrare, per dei periodi di disoccupazione i contributi mancanti per non dover sostenere generazioni di pensionati indigenti tra 10,20 e 30 anni.

L’ultimo punto è il contributo per i figli. E su questo c’è poco da dire: il sostegno alla natalità in Italia è minimo. Paesi come la Francia hanno strumenti e soprattutto fondi molto più consistenti di noi e offrono molti più servizi alle madri che vogliono avere dei figli. Investire su questo vuol dire investire sul futuro. In Italia si trovano i soldi per salvare i carrozzoni statali o per costruire le scuole padane ma quando si parla di lavoro, giovani, donne e scuola i fondi scompaiono. E’ un problema di razionalizzare gli strumenti che ci sono, quindi usare meglio le risorse e scegliere quali sono le priorità per investire. Se ci devono essere delle priorità troviamo i soldi per i figli più che per le scuole padane o i carrozzoni statali da salvare.”

Il PD è il partito che continua a prosciugare con un’opposizione formale le energie più sane di questa società. Un’opposizione inconcludente, stereotipata, sterile e spesso ridicola. Veltroni trova 75 parlamentari PD che firmano il suo documento e toglie in extremis dal testo condiviso l’espressione partito senza bussola, Bersani fulmineo che per parlare ancora di Ulivo nel 2010, dichiara che la bussola del partito c’è (e alla grande) e per dimostrarlo  spedisce un questionario agli iscritti, e manco tutti, procrastinando la nuova moda ( qualche scienziato della comunicazione che lavora, se dio vuole) del marketing del voto, senza poi l’effettività della delega elettorale, ma questo al PD proprio non interessa. D’Alema che non perde occasione di rifiutare ogni contatto con la realtà del paese muovendosi solo ed esclusivamente per confermarsi sulla poltrona sino quando la nave sarà affondata e lui verrà ricordato come il Marcello Lippi della politica italiana. Questo mentre il paese scricchiola, si lamenta, si squarcia nel patto e nel tessuto sociale.

E allora almeno sino a quando le giovani leve di questo partito dell’eterno ritorno al passato non smetteranno di essere relegati ai margini della politica che conta, frustrando la vitalità di chi è inserito in un contesto sociale e non lo vive dagli scranni del potere,  ma si sforza di suggerire le idee che, nel bene e nel male, possono contribuire se non altro a riportare la discussione sui problemi reali, il partito democratico continuerà a rivelarsi uno dei principali vettori della stasi politica, un meccanismo conservatore orientato alla salvaguardia delle proprie piccole posizioni di prestigio, un’accozzaglia di burocrati stipendiati e privilegiati, senza alcuna vergogna nella salvaguardia degli interessi di classe, quella politica.

Per approfondimenti: Che fine hanno fatto le nostre pensioni?

Written by Il Secolo21

settembre 21, 2010 a 1:31 PM

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