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La telecamera intelligente e le conseguenze sociali della videosorveglianza.

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Questa è un'area videosorvegliata. Le telecamere sono sensibili a determinati comportamenti ritenuti potenzialmente pericolosi.

Prendendo spunto dall’articolo trovato sul sito Revuelta social (in merito all’arrivo a Milano delle telecamere intelligenti che individuano i writers e i presunti terroristi), Il Secolo 21 ha deciso di tornare ad occuparsi del tema videosorveglianza, proponendo nuove riflessioni per approfondire questo tema dato ormai così per scontato e quindi accettato acriticamente dalla maggioranza.

Le telecamere, come sappiamo, sono diventate una costante del nostro vivere: nel giro di qualche anno le troviamo nei più disparati luoghi, intente a riprendere la vita che si svolge sotto le loro disposizioni elettroniche. Per fare il punto della situazione, per avere un’idea di quanto sia sviluppato il fenomeno videosorveglianza niente di meglio che due prof. del gruppo di studi italiano sulla videosorveglianza, Chiara Fonio dell’università cattolica di Milano e Davide Calenda dell’università di Firenze. Cerchiamo con loro di fare finalmente chiarezza sulla videosorveglianza: tecnologia dall’efficacia reale o solamente presunta?

Quanto è sviluppata la videosorveglianza nel territorio italiano?

Fonio: E’ complesso fare una stima del numero di telecamere presenti sul territorio perchè non ci sono molti dati a disposizione in merito. A parte l‘indagine esplorativa dell’Autorità Garante del 2000, non sono state effettuate ricerche empiriche ad eccezione di una volta nel territorio milanese. E’ ipotizzabile un numero consistente di telecamere negli agglomerati urbani maggiormente popolati ma ultimamente stiamo assistendo ad ingenti fondi pubblici (soprattutto regionali) erogati anche a comuni di piccole dimensioni del Nord al fine di installare gli impianti per generici fini di sicurezza pubblica (per esempio in Piemonte e in Lombardia).

Quali sono le zone dove si è sviluppata maggiormente e a suo parere perché?

Fonio: Rimando alla risposta precedente. Le ragioni sono di diverso tipo e comprendono sia interessi di tipo economico che il tentativo di gestire l’insicurezza urbana e aumentare la percezione di sicurezza dei cittadini. Il problema è che l’utilizzo delle telecamere viene incentivata a priori, indipendentemente dalla loro efficacia.

Quali sono le motivazioni sociali, politiche e culturali che hanno condotto a questa proliferazione?

Davide Calenda

Calenda: Viviamo in un’epoca egemonizzata dalla ragione strumentale e i mezzi determinano sempre di più i fini. Alle persone si dice: lasciamo fare ai tecnici e alla tecnologia che funziona meglio. Certamente è socialmente ed economicamente più desiderabile avere 10 telecamere che 10 poliziotti o militari che vigilano una ‘piazza’, anche se nel nostro paese persiste una certo attaccamento alla vigilanza ‘hard’, dai vespri siciliani, mi riferisco all’operazione contro la criminalità in Sicilia che coinvolse tantissimi militari di leva, direi dieci anni fa, fu un’esperienza incredibile, alle più recenti missioni di polizia ‘civile’ dei militari.

Poi c’è stata una massiccia propaganda sul potere deterrente delle telecamere. Ma di fatto è difficile misurare l’efficacia di questo deterrente; la buona notizia della telecamere segue sempre l’evento e non lo anticipa:” Grazie alla registrazione si è risaliti all’identità dello stupratore…”, ma lo stupro è già avvenuto. Certo, in alcuni casi l’assenza di illuminazione o di telecamere può fare aumentare la probabilità del verificarsi di certi comportamenti devianti. Negli ultimi mesi nel cuore di Londra, la città più videosorvegliata del mondo, due ragazze sono state stuprate a distanza di una settimana nella stessa strada, vicino a Soho. Per via di lavori di manutenzione, la strada era senza illuminazione e non arrivava corrente alle videocamere. Ci sarebbe da chiedersi perchè dopo il primo evento non si è fatto niente. Forse perchè ormai questi servizi, dalla manutenzione alla gestione delle telecamere, sono affidati sempre più spesso a società esterne. Ma in molti casi non si spiega il perchè di tanta videosorveglianza. L’ipotesi è che questa diffusione riflette e al tempo stesso determina una propagazione quasi epidemica del sospetto. La videosorveglianza appartiene alla società della paura e del sospetto; cioè si allea col suo nemico, alimenta proprio ciò che vorrebbe combattere. Questo è un paradosso su cui bisognerebbe riflettere.

Esiste all’interno delle amministrazioni pubbliche un dibattito ancorato alle evidenze scientifiche sulle conseguenze della videosorveglianza?

Fonio: Assolutamente no. Le amministrazioni pubbliche generalmente ignorano non solo le evidenze scientifiche ma anche il potenziale impatto a livello sociale della videsorveglianza. Fino ad ora le ricerche condotte a livello nazionale (Milano 2005) e internazionale hanno messo in luce una ridotta efficacia dello strumento in questione. Funziona bene in aree miste (parcheggi) e per risolvere obiettivi specifici. Per quanto concerne gli aspetti sociali, invece, la videosorveglianza non è un mezzo meramente tecnico ma socio-tecnico ovvero con numerosi rischi riguardanti la privacy dei cittadini e la potenziale discriminazione di gruppi già stigmatizzati ed emarginati.

Quali sono le conseguenze sociali di tale sviluppo?

Fonio: Le maggiori conseguenze sono i rischi di invasione nei confronti della privacy e la stigmatizzazione di etnie considerate devianti indipendentemente dal fatto che si mettano in atto comportamenti devianti all’interno di aree cittadine. Questi rischi sono stati messi in luce da una ricerca da me condotta a Milano nel 2005 e i dati confermano i risultati delle ricerche internazionali, soprattutto anglosassoni.

Sulla base della ricerca svolta a Milano cui ho accennato precedentemente. I più sorvegliati non sono di certo gli italiani ma gli extra comunitari. E non solo: le ricerche a livello internazionale hanno confermato che la videosorveglianza è generalmente utilizzata per monitorare individui o gruppi sociali considerati devianti a priori. Il meccanismo che si instaura è quello di una costruzione sociale del sospetto amplificato da tecnologie quali gli occhi elettronici. La discriminazione risiede proprio in una sorveglianza qualitativamente e quantitativamente differente a seconda dei soggetti osservati.

Dopo l’11 settembre 2001 le cose si sono ulteriormente complicate: il rischio del terrorismo islamico ha portato a un controllo maggiormente invasivo rivolto soprattutto ai cittadini e/o viaggiatori ( si pensi ai controlli aeroportuali)  di religione musulmana per esempio.

Esistono studi italiani sulla produttività di tali dispositivi, nel prevenire il crimine?

Fonio: No. Principalmente perchè non esistono delle ricerche condotte prima, durante e dopo l’installazione dei dispositivi in questione. E’ molto complesso condurre ricerche empiriche focalizzate sull’utilizzo della videosorveglianza e i dati a disposizione sono davvero pochi.

Che conseguenze porta lo sviluppo della videosorveglianza se comparata con l’atrofia dei servizi sociali?

Calenda: Non so se esiste una correlazione positiva tra aumento della videosorveglianza e diminuzione degli investimenti in politiche sociali. Ma credo sarebbe facile trovarla. In fondo la videosorveglianza è uno strumento del cosiddetto sistema di warfare che nell’ultimo ventennio ha riscontrato pia legittimazione presso i governi rispetto al sistema di welfare. Quindi, non credo che la videosorveglianza sia la causa della diminuzione di investimenti in politiche sociali, ma credo che rafforzi questo trend. In fondo si sa, la sicurezza tipica delle comunità di vicinato non è sostituibile dalla sicurezza che si intende promuovere con la videosorveglianza; il fattore umano è insostituibile, eppure si insiste sul discorso tecnologico. Per altro sono sicuro che una politica che incentivi una riappropriazione degli spazi pubblici da parte dei cittadini avrebbe molto più consenso di una politica di ‘sicuritizzazione’. Per comprendere perchè non si fa o lo si fa poco, bisogna affrontare il discorso sugli interessi materiali e simbolici che sottostanno a certe scelte.

Interessi materiali: la videosorveglianza costa meno, richiede meno sforzo organizzativo, ha il vantaggio di poter individuare un unico fornitore (quanti fornitori richiede invece una politica sociale) che magari è più efficace nel fare azione di lobby rispetto alla miriade dei rappresentanti degli interessi sociali.
Interessi simbolici: è un cane che si morde la coda: tanto più si suona il tasto del rischio e dell’insicurezza, soprattutto attraverso l’amplificazione mediatica, tanto più i politici saranno interessati a promuovere politiche di sicurezza attraverso il controllo e la sorveglianza che hanno ritorni (soprattutto simbolici) immediati. Al contrario le politiche sociali sono più silenziose, hanno ritorni in tempi più lunghi, non sono facilmente gestibili da un “centro di controllo” e facilmente rappresentabili come parte di un disegno. Le politiche di controllo invece sì, pensa ai militari nelle piazze, ai ‘vespri siciliani’, alla concentrazione delle telecamere in certe strade e quartieri, per altro segnalate da grandi cartelli Area videosorvegliata. Ti immagini dei cartelli del tipo ‘Area socializzata…

Cosa comporta a livello sociale lo studio algoritmico del comportamento su base audiovisiva, cioè quali sono le conseguenze sociali dell’utilizzo delle telecamere intelligenti?

Calenda: Produzione e riproduzione delle categorie del sospetto, che non sono mai socialmente neutre ma che riflettono rapporti di potere e strutture sociali determinate. Infatti non mi sembra che la videosorveglianza abbia contribuito ad una nuova distrubuzione dei poteri nella società, anzi, ha rafforzato il potere delle èlite.

Questo punto è cruciale. Intendo quello che anche Rodotà più volte ha richiamato come il rischio della società della classificazione. La società della sorveglianza è innanzitutto e soprattutto una società della classificazione, dove i criteri di classificazione, le categorie, i profili e le tipologie non sono trasparenti ovvero fuoriescono dai meccanismi di scrutinio pubblico e di accountability democratica e, novità: sono routinizzati, ovvero i meccanismi e le scelte di inclusione e esclusione dai circuiti (elettronici) della cittadinanza, del consumo, della socialità in senso ampio, sono automatizzate. Ci rendiamo meno conto che tali meccanismi sono in funzione, o comunque anche quando lo sappiamo e lo accettiamo, perchè è ‘comodo’, non sappiamo quali sono le conseguenze, come si distribuiscono socialmente i rischi di questo sistema e le scelte ‘in negativo’ cioè di esclusione che opera. E’ un fatto che certe categorie di persone (rom, arabi, neri ecc.) siano più soggetti a operazioni di controllo e sorveglianza di altre categorie di persone, anche da parte di sistemi di sorveglianza ‘automatizzati’ come quelli degli aereoporti o delle banche. Ma l’automazione del controllo segue delle regole, e queste regole sono algoritmi di rischio elaborati da esseri umani la cui azione è soggetta a interessi, valori e pregiudizi ben precisi.

La videosorveglianza genera sicurezza o maggiore insicurezza?

Fonio: A Milano qualche anno fa i cittadini avevano espresso di sentirsi più sicuri dalla presenza degli occhi elettronici. A mio avviso potrebbe generare molta più sicurezza se ci fosse più trasparenza da parte delle istituzioni. Come vengono effettivamente utilizzate le telecamere? Chi sono gli operatori? Che tipo di preparazione hanno? Sono a conoscenza del nuovo provvedimento sulla videosorveglianza dell’Autorità Garante? La videosorveglianza è efficace? Quali sono i dati a disposizione? Quali i costi?

Esiste un monitoraggio sullo sviluppo della videosorveglianza in seno al privato cittadino o agli esercenti commerciali?

Fonio: Non ne sono a conoscenza.

Esiste un monitoraggio nazionale della sua espansione in seno alle amministrazioni pubbliche?

Fonio: Non che io sappia purtroppo.

Per approfondimenti: Gli occhi elettronici di Genova sono troppi?

Intervista a Francesco Scidone assessore alla Città Sicura.

Questa è un'area videosorvegliata. Le telecamere sono sensibili a determinati comportamenti ritenuti potenzialmente pericolosi.

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